Una vecchia storia criminale a Parma…
La storia che voglio raccontarvi, nasce dall’acqua, tra i canali, i fossi e le rane in un luogo vicino a Parma, circondato dai torrenti Parma e Enza, il canale Naviglio e il fiume Po. Questa zona un tempo ricca di mulini, casali e antiche corti oggi in gran parte abbandonate, è fatta di campi e di terra, tanta terra coltivata, che si estende ovunque a perdita d’occhio…

Per caso mi è capitato tra le mani, un vecchio libro*, che parla dei più celebri fatti di sangue avvenuti a Parma e provincia negli ultimi secoli e leggendo la descrizione degli eventi che si riferiscono alla Banda di Bogolese, di cui ho sentito spesso parlare, senza conoscerne i dettagli, mi sono incuriosito e ho provato a ripercorrere i luoghi, alla ricerca delle tracce e delle memorie del passato ancora vive e presenti sul territorio. Confrontandomi direttamente con le pagine, alla caccia di riscontri oggettivi della storia nei luoghi descritti dal libro… E dopo diverse ricerche e tanti giri a vuoto, bingo… ho trovato il vecchio mulino e i casolari, testimoni muti e ormai un po’ malconci del racconto.
Una terra che come recitava l’inizio del La Banda ‘d Bogles * la poesia di Renzo Pezzani, poeta dialettale parmigiano, dedicata a quei tragici eventi:
“Fora d’ man, vers la Bassa, in mez ai foss / (tera bon’na da pan, mo quant sensoss!)…”
Fuori mano, verso la Bassa, in mezzo ai fossi/(terra buona per fare il pane, ma quante zanzare!)…
Ed ora lascio spazio alla descrizione dei fatti storici… Tra il 1858 e il 1863, nel periodo tra la fine del ducato di Parma e Piacenza e l’annessione al regno d’Italia la provincia di Parma fu attraversata da una grave crisi sociale ed economica derivante dalla profonda crisi in cui versava l’agricoltura, che provocò soprattutto nella zona compresa tra la città ed il fiume Po, una serie infinita di rapine, furti, taglieggiamenti, omicidi e soprusi ad opera di una vera e propria banda armata di malviventi, composta da taglia gole, ladri, borseggiatori, disertori o semplicemente disperati… Comunque era ben organizzata, fortemente radicata sul territorio con parecchi agganci, costituita da una sessantina di elementi, provenienti oltre che dalle nostre zone, anche dalle provincie confinanti. L’epilogo finale della loro avventura criminale avvenne nel molino di Bogolese. L’episodio è rimasto famoso nella tradizione orale parmigiana come la Buja d’Boglès (Rissa di Bogolese), che in realtà fu ben più di una rissa, ma uno scontro armato particolarmente cruento tra guardie, carabinieri e banditi terminato tragicamente con un paio di morti e tanti feriti lasciati al suolo… Da allora venne denominata per sempre la Banda di Bogolese.
La sera del 15 febbraio 1863 una decina di malviventi facenti parte della banda, armati fino ai denti, alcuni di loro travestiti da carabinieri bussarono alla porta del mulino a notte fonda, con la scusa di cercare dei disertori in zona, che pensavano essersi rifugiati nel mulino. Ma all’interno ad attenderli, oltre al figlio del mugnaio Domenico Paini, trovarono appostati anche una decina di guardie, informate in precedenza del colpo, da una soffiata precisa e dettagliata sull’operazione, da un traditore all’interno della banda, stanco di quella vita e in cerca di immunità. Quella sera avrebbero tentato ben tre colpi nei dintorni, una “visita” alla canonica del parroco don Francesco Tanari, un incursione nella casa di un facoltoso proprietario della zona, il sig. Maschi, ma il primo colpo, il più importante sarebbe stato proprio lì, al mulino. Sapevano che il mugnaio aveva venduto da poco una grossa partita di suini ricavandone più di trenta mila franchi, ed era un bottino più che consistente per cercare di accaparrarselo. Ma la trappola era pronta, con l’adrenalina a mille e il sangue che pulsava nelle tempie una volta entrati all’interno dell’edificio, anziché arrendersi al colpo sparato in aria dal delegato di pubblica sicurezza a scopo intimidatorio, scatenarono un tremendo conflitto a fuoco nel buio più totale con le forze dell’ordine e alla fine di quella sparatoria infernale ci furono parecchi feriti anche gravi e due agenti uccisi…
Come recita il finale della poesia di Pezzani :
I s’ciop is pion… E quand as fa maten’na
A gh’è dill maci ‘d sang’v in-tla faren’na.
(I fucili si accendono… E quando si fa mattina/ Ci sono delle macchie di sangue nella farina.)
Le forze dell’ordine appostate anche all’esterno del mulino, lungo l’argine del Naviglio riuscirono ad arrestare diversi componenti della banda, molti dei quali rimasero feriti durante il conflitto a fuoco e a smantellare in breve tempo l’intera organizzazione criminale.

Il processo contro la banda venne istruito nel 1865 contro più di 60 individui, esattamente 65, con un totale di 46 capi d’accusa ed il 23 gennaio 1866 si concluse con le seguenti condanne a carico di una cinquantina di imputati:
- Per alcuni pochi anni di carcere
- 1 ai lavori forzati per 5 anni
- 9 ai lavori forzati per 15 anni e 5 di sorveglianza
- 4 ai lavori forzati per 20 anni e 5 di sorveglianza
- 1 ai lavori forzati per a tempo
- 1 ai lavori forzati per 21 anni e 5 di sorveglianza
- 3 ai lavori forzati per 25 anni e 6 di sorveglianza
- 2 ai lavori forzati per 30 anni e 6 di sorveglianza
- 19 ai lavori forzati a vita
- 3 (Baiocchi Ferdinando, Salvini Paolo e Berselli Pietro) a morte
Probabilmente in seguito, le condanne a morte furono commutate in ergastolo, non essendoci traccia della loro esecuzione. E così termina la storia della banda di Bogolese, ma c’è ancora un piccolo mistero da chiarire…

Nella chiesetta di Ravadese esiste ancora all’interno, una lapide a memoria del sig. Benecchi Genesio che lasciò in morte 6400 lire per la ristrutturazione della chiesa parrocchiale e la celebrazione di 567 messe di suffragio. Pare che il Benecchi fosse rimasto volontariamente o meno, non è dato sapersi, l’unico custode del denaro e di tutta la refurtiva accumulata negli anni dalla banda, il cui bottino fu recuperato solo in piccola parte, ed in punto di morte temendo il giudizio divino volle riscattarsi, donando tutto il patrimonio in beneficenza alla chiesa. Non a caso negli atti processuali, tra gli imputati figurano ben tre Benecchi ed un quarto latitante, tutti parenti fra di loro…
* I fatti narrati, le vecchie immagini del mulino e le parti processuali sono tratte dal libro “La forca d’Bretta” del D. Ferruccio Botti II ed. (1967) riportante il testo pubblicato in “Parma economica” della CCIAA di Parma (1966) degli atti processuali. Inoltre mi scuso per gli eventuali errori o omissioni nella traduzione integrale in italiano, della poesia di Renzo Pezzani in vernacolo La Banda ‘d Bogles, tradotta dal sottoscritto…